Marco
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Qualche dubbio sul fatto che si fosse “obbligati” a portare le scarpe l’avevo fin da bambino anche se ho giocato scalzo solo qualche volta e in casa. Nella pace della campagna alessandrina dove andavamo qualche giorno tutte le estati, ho fatto i miei primi passi fuori dai sandali. A proposito. Ho sempre portato le infradito di gomma da poche lire e sono oggi di nuovo di moda. Ho scoperto che il terriccio morbido delle strade di campagna, l’erba e il polverino finissimo erano piacevolissimi, e che anche sassetti e ghiaia non erano un problema: mi dà molto più fastidio un singolo sassolino in una scarpa che correre su una strada inghiaiata... A 16 anni i miei mi hanno portato in Alto Adige dove ho scoperto che almeno metà dei bambini e ragazzi camminava scalzo nei paesi, nei campi, nei boschi. In Austria (il confine era solo a 7 km dalla località di villeggiatura) anche i giovani sui 20-25 anni andavano spesso in giro a piedi nudi. Così anch’io, anche se la cosa mi faceva un effetto tremendo. Ricordo di essere salito con la seggiovia (solo andata) e ridisceso lungo il versante con le scarpe in mano, provando l’ebbrezza della rugiada di montagna, ma pronto a re-infilarmi subito le scarpe se vedevo qualche altro escursionista. Per fortuna ho incrociato da vicino solo una coppia, così non ho dovuto togliere e mettere le scarpe troppe volte. A 18 anni alla mia prima escursione in macchina con gli amici, a Lugano, ho lasciato le scarpe insieme alla macchina nel parcheggio e via. Guido spessissimo a piedi nudi, scoprendo di modulare meglio l’acceleratore (= consumo inferiore) e anche i freni (frenate più dolci).
Da allora cammino scalzo regolarmente quando sono all’estero. Diverse erano le cose in Italia fino a qualche tempo fa. Anche se Torino non è molto più sporca di Stoccarda, il fatto di essere a contatto con persone che possono conoscermi mi teneva assai bloccato. Ci volevano il sito dei Natiscalzi e il forum tedesco di www.hobby-barfuss.de (che usavo anche per fare esercizio di lingua alemanna), e la preziosa compagnia di Franco * per sbloccarmi un po’. Inizialmente avevo Ho acquistato dei finti sandali (mi piace chiamarli scalzature) dall’aspetto di sandalo francescano ma senza suola e con questi andavo e venivo dal garage dove tengo il motorino che mi portava al lavoro. In ufficio le indossavo normalmente, fra i sorrisi compiaciuti dei colleghi. In seguito ho trovato il coraggio di andare con quelle scalzature al Lidl e al Conad a fare spesa, ma, in seguito, sono riuscito a rientrare a casa passando dalla centralissima Piazza Castello a piedi completamente nudi. Un poco alla volta ma in genere sempre da solo. Mia moglie non tollerava che mi facessi vedere per Torino senza scarpe, anche se mi “permetteva” di camminare scalzo con lei quando eravamo all’estero. Posso in parte capirla e poiché le voglio (ancora!) un gran bene, non desidero imbarazzarla e se sono con lei rispetto questo suo desiderio e uso le più semplici e classiche infradito flip-flop. Diciamo che col passare del tempo, tuttavia, non fa più caso se sono scalzo al suo fianco anche qui a Torino. Quando eravamo un po’ più giovani trascorrevamo sempre insieme una settimana di ritiro spirituale con un gruppo religioso sui monti del biellese, con la tenda, in una grangia tranquilla e frequentata solo dai ragazzi e le persone del gruppo. Qui, complici le faggete e l’assenza di micidiali castagni, avevo la facoltà di girare scalzo tutto il tempo, col sole e coi temporali (una volta fummo anche deliziati da una grandinata incredibile e io ho camminato scalzo lo stesso). Infatti, sempre da ragazzo, mi aveva colpito conoscere di popolazioni indiane d’America che vivevano scalze anche d’inverno, per non parlare della tribù degli Ona, che se ne stavano COMPLETAMENTE NUDI in Patagonia, dove i venti non sono certo tropicali né gli inverni temperati (per inciso la tribù è stata sterminata dall’uomo bianco che ha voluto civilizzarla imponendogli gli abiti nella più bieca osservanza del comandamento “vestire gli ignudi”: peccato che i missionari spagnoli abbiano portato agli Ona, insieme ai vestiti, anche i bacilli del raffreddore, malattia con cui gli Europei convivono da secoli ma sconosciuta agli abitanti di quelle zone, che sono tutti morti letteralmente di raffreddore....). Così, ben prima di leggere i consigli dell’Abate Kneipp avevo provato a camminare scalzo anche sulla neve. Se ci riuscivano gli amerindi ci potevo provare anch’io. Con un po’ di allenamento adesso sono in grado di camminare anche 50 minuti e fino a quasi 2 ore se la temperatura esterna è compresa fra 0°C e 3°C e se sono adeguatamente coperto nel resto del corpo. Se le temperature esterne sono molto inferiori allo zero mi limito a pochi minuti. È importante avere un cappello in testa perché è la testa che disperde il maggior calore corporeo, mentre i piedi sono la nostra centrale termoregolatrice... È anche difficile convincere gli altri che non è masochismo o fachirismo, quanto invece una sensazione stranissima per cui al freddo iniziale subentra una reazione circolatoria molto intensa che è perfino molto piacevole. L’unica istruzione è di tenere ben d’occhio il colore dei piedi. Se restano di un bel rosa acceso, va tutto bene. Se incominciano a diventare bianchi e sentire fitte di freddo è bene rientrare di corsa in caldi calzettoni e scarpe chiuse ben spesse e isolate. Personalmente per l’inverno in città avevo escogitato delle DeFonseca private della suola. Farà un po’ ridere, ma il piede sembrava “scarpato” e non dava scandalo al volgo che (penso) mi avrebbe scambiato per pazzo fuso. I pochi che si accorgono che uno è scalzo in estate lo guardano stupefatti (qualcuno ha il coraggio di chiedere “ma non hai freddo ai piedi?” - d’estate !!!!!!), ma d’inverno anni fa non me la sentivo ancora di sostenere la cosa e preferivo la discrezione di un sotto del piede a contatto col fresco marciapiede con un sopra del piede mimetizzato da scarpa. Com’è difficile superare tutti i traumi psicologici per poter semplicemente camminare nel modo più naturale possibile!!! Letteralmente passo dopo passo ci si arriva.
Con gli anni tutti questi palliativi sono diventati inutili e messi nel museo, e questo grazie all’aiuto delle esperienze di tutti coloro che dal sito dei Natiscalzi e dal forum ci fanno sapere che non si è soli, non si è fuori di testa e che il problema di poter camminare scalzi in santa pace è un po’ di tutti.
Ora che ho superato i 70 sono pronto. Entro scalzo al Conad vicino a casa (con la cassiera che mi chiede che tipo di scarpe ho!), e negli altri magazzini, prendo i mezzi pubblici, insomma ho una normale vita sociale ma senza scarpe.